31.12.10

Ferite

Ho detto di no.
Le sue mani cercano comunque il mio corpo in questo letto. Mi sono girata, chiusa in posizione fetale, gli dò la schiena. Il poco pigiama che indosso sopra a un costume intero non basta a fermare la sua ricerca. Vuole la mia pelle. Continuo a sperare che si stanchi di cercare un contatto, ma più passa il tempo più mi rendo conto che non succederà. Ho il suo fiato sul collo.
Ho paura. Non voglio girarmi, non voglio guardarlo. Non voglio parlare, vorrei poter scappare, ma non ho scampo. Sono una preda. Ho detto di no, ma lui mi avrà. Il mio corpo resta immobile, come se a fingermi morta tutto passi in fretta. Il suo tocco è freddo come la sua bocca. Sa di morte, la mia. Le dita lunghe s'infilano ovunque, tento di fermarlo, ma non ci riesco. Temo che mi faccia del male, non voglio che mi faccia del male.
Si fa strada, padrone, mi prende. Così senza che io mi muova. Fa da solo.
Ho detto di no, ma non ha sentito. Così è più comodo.
Lui, il doppio dei miei anni. Lui, generoso ipocrita bastardo. Lui, viscido e schifoso più di un rettile usa il mio corpo come fosse suo. Lui si può permettere di non sentire. Non riesco nemmeno a piangere, forse se lo facessi si accorgerebbe che qualcosa non va. Come non bastasse il mio corpo morto, il mio rifiutare qualsiasi movimento, il non accompagnare i suoi.
Io, nemmeno diciott'anni. Io che mi maledico ogni volta che lui affonda in me, che mi insulto, che mi tratto da sola come lui mi sta trattando, dandogli ragione. Io, che non ho saputo capire prima dove mi stava portando, che ho voluto credere di avere un qualche potere decisionale per quello che riguardava la mia vita. Io, che mi sto dando della puttana da sola perché non ho la forza di scappare via. Ma via dove?
Ho detto di no, mentre lui ansimava alla fine. E mi baciava il collo e le spalle ringraziandomi. Ma questo no non aveva più voce.
Si toglie, veloce. Non vuole problemi. E sembra felice. Mi chiede se è tutto a posto e la mia voce gli dice di sì. La mia testa sta già inventandosi una fiaba per nascondere il disgusto. Sta cercando una versione dei fatti che non faccia male e che non mi faccia vomitare ogni volta che ci penso. Presto, mi dice, non ci penserò più. La mia mente è una perfida ingannatrice.
Qualcuno dentro di me ancora dice no, ma la mente ha un piano. Far finta di niente. Far come lui.
Così dormiamo.
E l'indomani di nuovo. Senza alcun no. Tanto non serve.
Tornerò a casa, mi dico. La vita ricomincerà come prima, penserò ad altro, avrò serate migliori, sesso consenziente e giovane come merito. Lui avrà una tacca in più sulla sua pistola, non si accorgerà di cosa ha fatto, non capirà la mia distanza, la mia sparizione. Non capirà che danni ha fatto.
E io dimenticherò, davvero, per un po'. Per un bel po'. Perché non è poi così difficile farlo, almeno in quella piccola parte di cervello che controlliamo. Per il resto le ferite lavoreranno su di me come dei tarli, mi distruggeranno dall'interno senza che io da fuori me ne accorga. Sgretoleranno ogni mia certezza su chi e cosa sono, su cosa valgo, su cosa merito. Così mi butterò a capofitto in storie malate, in una lenta e inesorabile distruzione della mia vita. Nella punizione per ciò che ho fatto. Che gli ho lasciato fare.
Ho detto di no. Un giorno me lo ricorderò. Quel giorno, guardandomi in uno specchio in cui non mi riconoscerò da tempo, troverò la forza di ricordare. Ho detto di no. Ho detto di no, più di una volta.
Non è servito. Io sarò lì, lacerata allo specchio tra la ragazzina che ero e la donna che non mi sono permessa di essere, a cercare la forza di ricostruire me stessa. A cercare di sentire il tocco dei miei fidanzati, a lasciarmi andare alle cose belle e a perdonare me stessa per le punizioni che non meritavo.
Ho detto di no. Quelle ferite io non le volevo.
Ma a volte dire no non è abbastanza.

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