6.11.13

Il destino del libro - parte 1

Ho sempre amato le storie.
Attraverso fatti e personaggi ho imparato buona parte di ciò che so, mi ha aperto la mente; non solo per immedesimazione, anzi, attraverso la conoscenza di personaggi diversi da me ho imparato a comprendere che le cose hanno sempre più punti di vista, non solo il mio. Anzi, forse il mio era il meno importante, il meno complesso, meno interessante.
Che si trattasse di letteratura o semplice narrativa, ogni storia mi ha raccontato qualcosa e sono pochi i casi in cui, chiuso un libro, io non avessi qualche nuova riflessione con cui arrovellarmi. Certo poi sono stata conquistata da fantascienza e orrore, quindi la mia prospettiva si è fatta molto più disancorata dalla realtà. Questo, secondo me, non è mai stato un problema. La realtà non mi è mai piaciuta.
Il mio rapporto con le storie, quello è importante. Non so se mi deriva dalle mattinate passate con mia nonna a mettere per iscritto i miei sogni, trasformandoli con un tocco di qua e una piccola aggiunta di là, in bizzarre e incredibili altre storie.
E oggi pensavo. Pensavo a qualche scena di film vista negli anni. Come nel terzo episodio della serie di Mad Max, quando i bambini si tramandavano a voce la storia del loro arrivo nel deserto, aiutati da graffiti. Oppure ne "Il regno del fuoco" (non stiamo a sindacare sulla qualità dei film che vedo, dipende sempre da come si usa il cervello), dove i giovani adulti mettevano in scena una specie di Guerre Stellari per tenere tranquilli i bambini e raccontare loro un mito. E, ancora, l'importanza del libro che Denzel Washington porta con sé in "Codice Genesi", in un mondo dove i libri non ci sono più. Soprattutto quelli importanti.
E pensavo che un tempo, nemmeno troppo lontano e comunque un tempo che ancora esiste per alcune e nascoste comunità, le storie si raccontavano a voce. Tutte le storie si raccontavano a voce, anche quando qualcuno sapeva leggere e scrivere. Si tramandava una conoscenza profonda attraverso la parola detta, che veniva memorizzata volta dopo volta, come ancora fanno i monaci buddisti che imparano gli scritti, libri lunghissimi e complessi, come cantilene. Affascinanti sequenze di suoni per noi incomprensibile, ma pieni di significato. Migliaia di vocaboli. Una biblioteca intera.
Poi pensavo che la diffusione della "civiltà della scrittura" ha cambiato in qualche centinaio di anni il modo in cui ci si rapporta con le storie, con i miti, con la conoscenza. Fissa, ferma in volumi scritti, sembra essere a disposizione di chi la voglia apprendere. Eppure, in questi anni, stiamo assistendo a una graduale ma inesorabile crescita di un analfabetismo di ritorno (o di rimanenza, perché in fondo, io conosco persone che non hanno fatto le scuole medie - non era obbligatorio quando erano piccole e ancora oggi non sanno scrivere o parlare correttamente pur non superando i settant'anni). Mi rendo conto che mio nonno, nato i primi anni del '900, aveva una laurea mentre alcune mie colleghe - ora pensionate - avevano a malapena la quinta elementare. Quindi pensavo, anche, che non esiste a oggi un paese in cui la cultura sia uguale per tutti. Non cultura di serie A o B, semplicemente una questione di opportunità, almeno per alcuni.
Poi pensavo che non è stata la scuola a spingermi alla lettura. Non sono stati i professori, non le materie, non i compiti, non le lezioni. Solo la curiosità per le storie. Qualsiasi storia riuscisse a sfiorarmi.
E questo continua a succedere. Scrivo perché mi piacciono le storie e i personaggi che le raccontano. Scrivo perché amo le storie. Non per fare Letteratura.
Poi mi guardo attorno. Oggi le storie vengono raccontate in modi differenti. Non c'è solo più la scrittura, ci sono anche le immagini. E se, mi chiedo, venisse un tempo in cui non ci fosse più spazio per la civiltà della scrittura e le storie, la cultura in genere, venissero trasmesse in altro modo? Non so dire quale e non è questo il mio intento. Ma chi può assicurarmi che le cose resteranno come sono? (e spero anche di no, in certi casi)
Chi mi può assicurare che la cultura non passerà attraverso una connessione neurale guidata da impianti computerizzati? Lo so, fantascienza. Ma quanti pensavano, nel medioevo, che sarebbero arrivati gli e-reader?
Comincio a pensare che non sia affatto scontata la persistenza della "civiltà" così come la conosciamo. In meno di un secolo ci sono stati tanti e tali cambiamenti, scoperte, innovazioni, che non possiamo immaginare cosa accadrà tra altri cento anni. Vero è che con l'avvento degli mp3 non sono scomparsi i vinili (ma vai a trovare un piatto da collegare all'impianto hi-fi...), però è anche vero che gli adolescenti di oggi non subiscono il fascino della nostalgia per un oggetto che è effettivamente scomodo, ingombrante e imperfetto.
Il libro in quanto oggetto, che futuro ha?
Posto che per una questione ecologica un e-reader carico di migliaia di e-book salva una foresta amazzonica, posto che gli sprechi in fatto di carta utilizzata per copie che poi andranno al macero (giornali, libri, fumetti, riviste resi dai negozianti - magari nemmeno riciclabili) sono insostenibili. Lasciamo poi perdere il fatto che questo tipo di sprechi si trova in ogni campo. Si produce in surplus per invogliare all'acquisto, forse, o solo per poter soddisfare tutti - proprio tutti, anche quelli che non lo richiedono - i potenziali clienti. non lo so, e non è forse fondamentale saperlo.
Ecco, se in un futuro si evitasse di sprecare risorse per poi buttare via il prodotto io non sarei scontenta.
Ma l'oggetto libro, quel meraviglioso cartaceo che sa di stampa, con la copertina da carezzare e le pagine da far frusciare. Quell'oggetto lì, che futuro ha?
Senza demonizzare il moderno e tecnologico, senza dimenticare il valore dell'oggetto.
L'importante sarebbe il contenuto, in fondo. Il contenuto. Non la carta.
Le storie, i mondi, la conoscenza. Il sapere.
Se ci fosse un modo per trasmettere questi contenuti in altra forma, siamo sicuri che non lo accetteremmo?
Un modo magari più immediato e a portata di più persone. Un modo intuitivo, come alcuni programmi informatici. Perché ci sono bambini che non sanno leggere e sanno invece usare un cellulare per giocare o vedere un filmato?
Stiamo crescendo dei figli diversi dai bambini che eravamo. Imparano in modo diverso da come abbiamo imparato noi (a volte non imparano, più semplicemente, ma ogni sistema ha le sue falle), ragionano in modo diverso. Siamo sicuri che ai loro figli importerà ancora di sfogliare un libro di carta, se quello che c'è dentro sarà più facilmente raggiungibile in altro modo?
Concludo questo ragionamento, pur avendo mille domande in più a riguardo, cui non so e non mi importa di rispondere.
Concludo non giustificando il mondo e la realtà così come sono e la direzione che prendono le cose. So che agli occhi dei miei nonni già la mia generazione risultava incomprensibile e irrimediabilmente rovinata. Funziona così. Ma non si stava meglio allora e ora non si sta peggio che in altri momenti. Si vive, si va avanti, forse per certe cose si regredisce anche.
Forse per alcune cose non vale la pena prendersela, per altre si può tentare di rimediare.
Ma la civiltà, se così la vogliamo chiamare, va avanti. Dopo la "civiltà della scrittura"... che tipo di civiltà ci attende?

P.S: Sono stata prolissa e confusa. Ma la questione è lunga e secondo me interessante. Non coinvolge solo l'oggetto, ma tutto il mondo che ruota intorno a esso. Un mondo che sta cambiando e che non si capisce da che parte va.

2 commenti:

easy runner ha detto...

Non si può dire che soffrissi d'insonnia, vista l'ora da seconda serata TV in cui hai lanciato il post.
Però si capisce che eri di servizio alla diga e hai aperto le paratie per scaricare il fiume di pensieri che stava tracimando.
Io spero che i giovani esploratori continuino a mettere nello zaino il manuale delle Giovani Marmotte e In Patagonia di Chatwin.
Metti che finiscano "Into the wild" e senza una presa per alimentare il tablet, almeno la ruota di scorta gliela vogliamo consigliare?

Buon easy weekend

PaolaClara ha detto...

Il manuale delle Giovani Marmotte l'ho regalato l'anno scorso al figlio di un'amica, ma mi sono tenuta quello di Nonna Papera per ogni evenienza.
Sì che mi arrovello, ché sai, scrivendo libri... tento almeno di capire cosa capita nel mondo. Senza un minimo di consapevolezza non si arriva da nessuna parte.
Però, sì, immagino che in qualche modo siamo già in un'epoca diversa, di passaggio spero. Epoca "delle immagini", perché oggi impariamo di più dalle immagini che dalla scrittura. Anche l'approccio a scuola è cambiato, non più tante lettere singole a comporre parole, ma parole già complete- Immagini di parole in qualche modo.
E cambia tutto, apprendimento, connessioni, magia...