13.11.13

Il destino del libro - parte 2

Non c'è niente da fare. Ho sempre amato la magia delle parole.
Il modo in cui quelle giuste suonano, una dietro l'altra, e risuonano in mente. O nell'aria, quando si legge ad alta voce. Magia, quella vera.
Quella che ti fa commuovere, che ti agita lo stomaco o ti fa rizzare i peli sul collo.
Quando leggendo provo qualcosa del genere, sono sicura di avere in mano un buon libro.
Chiamiamolo ancora così, finché esiste, anche quando si tratta di e-book (che tanto è un libro elettronico, ma sempre libro è).
Ci provo e riprovo a prenderlo con leggerezza, ma la natura di questo post non mi concede troppo spazio.
Un buon libro.
O meglio, un buon libro e il mercato.
O meglio, un buon libro, il mercato e lo scrivere.
O meglio, lo scrivere un buon libro e metterlo sul mercato.
Ormai è chiaro a tutti che il motivo per cui leggo è principalmente lo svago. Il motivo per cui scrivo è la necessità di raccontare storie che svaghino gli altri oltre me e che magari lascino qualcosa. Mai preteso di fare letteratura o di saperne scrivere in qualche modo. La riconosco, a volte, quando la incontro.
C'è un certo giro che si frequenta, da aspiranti scrittori, fatto di aspiranti scrittori di ogni tipo. Da quelli che aspirando cercano di imparare a quelli che aspirano pensando di essere capaci.
Per tutti, o quasi, l'incubo peggiore è Fabio Volo. O meglio (non l'avevo ancora scritto, stasera...), i suoi romanzi da decine di migliaia di copie vendute. Se un aspirante scrittore deve fare un esempio in negativo di come funziona l'editoria, state sicuri che ce lo mette in mezzo, Volo, in qualche modo.
Eppure...
Si dice che sia colpa dell'editore che non investe più su autori da long sellers, che sceglie solo di pubblicare i volti noti - perché essendo già noti vendono di più - che pubblica qualsiasi ciofeca capiti tra le sue mani purché di un personaggio televisivo. Si dice che i manoscritti non vengono nemmeno letti se uno non conosce "qualcuno", che nessuno più comprende la vera qualità.
Bene, partiamo pure dal presupposto, peraltro corretto, che un editore badi a fare affari, cioè a vendere. Ecco, mi rendo conto che fare pubblicità a un illustre sconosciuto costa. Costa meno se uno già lo si conosce. Ma non tutti i libri scritti da "personaggi televisivi" vendono allo stesso modo.
Sarebbe comodo per l'editore se esistesse una ricetta, tra i tanti libri di cucina, per vendere a colpo sicuro qualsiasi cosa pubblichi. Ma non c'è. Così l'editore va per tentativi. Ci prova qua e là e se vendi bene, altrimenti...
Ma diciamocelo. Siamo in un paese in cui non si legge granché. Spesso nemmeno bene. La cultura generale ha un livello in clamorosa caduta libera, nonostante ci siano diplomi e lauree.
E lo dico da diplomata e da mezza laureata (mai terminato gli studi, ma so che alcuni dei miei professori all'università - e facevo magistero - avevano pesanti conflitti con la lingua italiana). Uno sfacelo, aiutato da un sistema scolastico non sempre all'altezza e da un rigore che fa ridere i polli.
Qui viene il bello: pochi leggono, tutti vogliono scrivere (molti ci provano) con l'idea di fare un mucchio di soldi e diventare famosi.
E vai di manoscritti che inondano le case editrici.
E vai di centinaia di pagine cestinate al mese. Piene di strafalcioni, noiose, poco originali, mal scritte, senza un senso compiuto, insomma... un delirio.
Lo dico essendo uscita da poco dalle letture del torneo. Per quanto ci fosse già stata una scrematura iniziale, anche in questa fase c'erano errori grammaticali gravi e storie di nessuna presa sul lettore.
Non oso immaginare cosa capiti sulle scrivanie delle decine di migliaia di editori sparse per il paese.
Qualcosa di potabile c'è, qualcuno di valido magari lo si trova. Però...
Se uno scrittore non legge, o non legge molto, che cosa scriverà?
Parlavamo di buon libro. Manca. Spesso manca, e questo è un punto.
Manca anche perché con la cultura spaccata in due o tre sezioni, con una classe di "intellettuali" che leggono e comprendono praticamente tutto, una di "normali" che leggono ma a fatica e hanno bisogno di leggere facile; e l'ultima classe, quella dei "ripetenti", che è già tanto se apre un libro all'anno e lo legge fino in fondo...
con tre classi così distanti tra loro, dico, un editore punta su quella più numerosa. Come con le taglie degli abiti. Mica si producono abiti taglia 38 a camionate, se il mercato è pieno di obesi.
Quindi un libro che vende starà nella media, per quei lettori "normali" che non passano il tempo a citare Dante o Omero.
Un buon libro che vende è buono se chi lo legge può capirlo e amarlo. Altrimenti serve a fermare le porte.
Questo bene o male è quello che mi viene in mente quando penso alla qualità messa insieme al mercato.
Ora, torniamo volando a Volo.
Magari non è proprio un grande autore. Parlo per sentito dire, non avendo ancora letto un suo lavoro. Magari racconta storie banali e sempre uguali, come anche altri prima e dopo di lui. Ma vende e tant'è. Vien da dire beato lui.
Da aspirante scrittrice mi interrogo spesso sui motivi del successo, casomai ne azzeccassi una in tutta la vita. Uno dei motivi è senza dubbio questa devastazione culturale in cui viviamo e per cui, almeno io, non vedo soluzione. Ho aggiunto i link onde evitare di ripetere parola per parola cose già dette da altri.
Forse solo non comprando libri che non riteniamo di qualità potremmo venirne fuori, ma può valere per me che già lo faccio e può valere per chi (non me ne voglia il buon Volo, che mi è pure simpatico ma pare sia il più odiato dagli - aspiranti - italiani), invece, ritiene che i suoi libri siano di qualità e che autori meno semplici siano semplicemente noiosi. Insomma, siam tutti liberi. Ben venga pure lui.
Il problema, temo, non è tanto lui quanto tutto il resto.
E che il mercato si adegui (o, come vogliono i complottisti delle migliori tradizioni, faccia di tutto per mantenerci "bovini") mi sembra normale. Come i suoi lettori.
Me compresa, spesso e volentieri, che con a mia passione per i vampiri vado a leggere sì volumi meravigliosi come "Lasciami entrare" di Lindqvist o il classico "Dracula" di Stoker, ma anche boiate assurde di ogni genere (dalla serie di "Twilight" a quella della "confraternita del pugnale nero", passando per una migliore Laurell K. Hamilton, una Harris e una Rice - autrici di tutto rispetto che trattano argomenti leggeri).
Il destino del buon libro, finché esiste, dipende da noi.
Comprarne e leggerne alcuni ogni anno potrebbe farci bene, anche se poi riusciamo a leggerne due pagine a sera e non di più.
Al momento mi sto concentrando sullo scrivere un buon libro e metterlo sul mercato, cosa che finora non mi è riuscita e che temo vi toccherà leggere in un prossimo sequel di questa terribile e noiosa serie "seria" qui sul blog...
Buona notte, e non dimenticate di leggere un po', prima di dormire.

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